...una voce...tante emozioni...un viaggio...tante voci...un libro...le voci in viaggio...
Siamo un gruppo di persone che Ama la lettura e ha deciso di mettere in valigia storie, racconti, fiabe, poesie e di partire per un lungo Viaggio, in mezzo alla gente.
Ad ogni tappa del nostro cammino trasmettiamo con la nostra Voce emozioni che partono da Viaggi lontani, a volte persi nel tempo.
Leggendo parole scritte da vite più o meno note, ma che hanno lasciato un segno nella storia del mondo, possiamo leggere la vita di tutti i giorni e cominciare a scrivere quella che verrà.
L’emozione più grande è leggere negli occhi e nel cuore di chi ti ascolta la condivisione di ciò che arriva dalla nostra anima.
Ed è l’inizio di un nuovo Viaggio…


Le Voci Consigliano

venerdì 1 aprile 2016

Fatia




Un fisico asciutto, tonico, energico. Leggermente spigoloso. Parla di fatica e giornate senza riposo.
Una lunga tunica nera, sintetica, dai profili argentati. Porta addosso l’odore del fumo, quello che si respira dentro le alte capanne di questa terra dove il fuoco brucia per cuocere pane e pietanze.
Un lungo foulard verde ad avvolgere il capo e a nascondere i capelli scuri raccolti alla base della nuca.
Un cordino nero  al collo a cui sta aggrappata una chiave. Probabilmente la porta di casa. Usanza, questa,  diffusa tra le donne etiopi.
Un anello di finto oro infilato nell’anulare della mano sinistra. Unico vezzo concesso alla sobrietà di questo corpo.

Fatìa è stesa su un lettino targato Unicef, la tunica nera è arrotolata sotto il seno, il foulard verde è scivolato e la testa ora è scoperta. La chiave non è più al centro del cordino, è scesa sul seno sinistro. Le mani stringono con forza i bordi del lettino e sostengono lo sforzo.
Il marito passeggia solo, a testa bassa, nel cortile dell’ambulatorio. Aspetta così la venuta al mondo della  nuova creatura.
A casa ci sono gli altri figli, un maschietto e una femminuccia.

Nella sala parto di questa zona rurale d’Etiopia Fatìa sta spingendo da quasi due ore.
Respira con tutto il suo corpo e saluta l’andare della contrazione con un lungo espiro, emettendo un suono simile ad uno…“Iòiòiò”. Sotto voce, quasi non volesse disturbare. O farsi notare.
Tra una contrazione e l’altra si stende sul fianco sinistro. Risponde alle indicazioni dell’ostetrica con un impercettibile cenno del capo.  Fatìa non chiede, non parla, non da segni di voler mollare.
Le ultime forze combattono con lo sfinimento che lento si allarga nelle pieghe del suo volto.
Da uno stetoscopio poggiato sul suo ventre si sente il battito del cuore. Sembra arrivare dal fondo del mare, da un posto lontano e pieno di onde.

Fatìa accetta la mia presenza muta, la stretta di una mano bianca e sconosciuta tesa nel goffo tentativo di prendere il proprio posto davanti allo spettacolo del Tutto che sta andando in scena.
Parole sussurrate di incoraggiamento e un quaderno sventolato per darle un po’ di sollievo.

Dalle facce delle ostetriche si capisce che qualcosa non sta andando nel verso giusto.
Il bimbo è ormai da un po’ incanalato, sta andando incontro alla vita, ma non ne vuol sapere di lasciare quel mare.
Cercano ancora una volta Il battito del suo cuore. Nel frastuono si intuisce un debole pulsare.
È passato troppo tempo. Decidono di intervenire, aiutando Fatìa con la ventosa.

Due giri di cordone attorno al collo, attorno alla perfezione e alla fragilità del corpo di una bimba appena venuta la mondo.
Silenzio.
Solo il contare secco e quasi metallico che accompagna il massaggio cardiaco. Poi anche la vibrazione della speranza si spegne.

C’è una bimba che sembra dormire, custodisce nel suo sonno la Vita intera. L’Inizio e la Fine.
La Bellezza eterna.
E tutto questo sta dentro una copertina azzurra. Un colore che mi riporta il mare.

Dopo il dolore  della placenta, Fatìa rimane stesa sul lettino.
Questa donna è dentro quel che è accaduto e al contempo già pronta per la vita che continua oltre la porta.
Una vita che non aspetta e che non concede molto pause, nemmeno se si tratta di una sala parto.
Fatìa ascolta l’ostetrica, ma tutto quello che è avvenuto lo si legge senza parole nel suo corpo e nel suo volto.
Non una lacrima, un’ esclamazione, un lampo di rabbia. Nulla. “Solo” questo istinto, questa solidità, questa prontezza…  Non so che nome ha e dove si trovi. Ma so che è necessaria in questa parte di mondo. Serve a spingere, ancora e di nuovo,  per mandare avanti  la vita. Qui e altrove.

Forse non c’è il tempo.
Oppure questo  non è lo spazio.
O forse non è concesso.
Forse è una sorte di confidenza con la morte.
Il tempo per il pianto. Lo spazio per la rabbia. Un modo per condividere, accogliere e lasciare andare.
Non ora, non qui,  ma ci sarà anche per Fatìa. È  questo suo saper attendere che mi spiazza e non mi lascia stare.
È qualcosa di molto lontano da me,  è un vivere che non mi appartiene.

Non passa molto tempo e Fatìa è già seduta sul lettino. L’accompagnano in bagno.
Esce con addosso un vestito nuovo e pulito.
Torna a casa col marito, che tiene tra le braccia il mare.


C’è stato un momento invisibile in cui la vita e la morte si sono incontrate e  scambiate di posto.
Nascondendosi nel ventre di una donna.
C’è una linea sottile, un Mistero che non smette di interrogarci.

Pensieri all’ombra di questa “nostra” Pasqua etiope.


Anna

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