2 aprile ’15
Attraversiamo Addis Abeba nel traffico mattutino della sette e trenta,
lo smog è una coltre grigia,bucata dai raggi del sole, che si stende sul via-vai
di veicoli e persone.
Il procedere lento permette di scattare alcune istantanee.
Dal finestrino del pick up si rincorrono i colori delle diverse divise
scolastiche: il rosso del maglioncino sul blu dei pantaloni, il giallo della
camicia che spunta dal completo marrone di piccoletti che vanno all’asilo, e
poi il verde, il bordeaux …
Il sali e scendi della strada mi ricorda che questa capitale africana,
con i suoi 2100 metri sul livello del mare, è città di montagna.
Sono stesi a terra completamente avvolti in stracci e vecchie coperte...
Sono uomini, ai bordi della strada, ma è difficile intuire da che parte si
trovi la testa e dove i piedi.
Non sfreccia il lusso dei macchinoni né arranca la miseria di veicoli
che perdono i pezzi...scorgo una sorta di omogeneità nei trasporti che
riempiono le carreggiate.
Ce ne sono alcuni di gialli, ma i taxi che vanno per la maggiore sono
le Fiat 128 e le “Lada” bianco-blu, macchine dell’Europa dell’ est che però,
non so perché,mi portano un po’ di America
latina.
I pali di legno sistemati come impalcature sembrano dei “ricami” a
incorniciare il cemento dei tantissimi palazzoni in costruzione.
La raffinatezza di un velo di cotone bianco copre il capo e le spalle
di molte donne, che qui sono vestite a strati. La finezza sta in una “greca”
colorata adagiata sul bordo corto, appena prima delle frange.
Una ragazza con il bimbo sulle spalle ed entrambe le mani occupate, da
una parte un sacchetto dall’altra un vassoio, porta con sé una scatola di
cartone calciandola con i piedi. Spero non sia lontana la sua meta...
Qualche parola o nome italiano compare sui tabelloni o sulle insegne
dei locali: tracce di storia che vivono anche nel quotidiano discorrere di questa
gente.
Uscendo da Addis, sono tante le fabbriche, e tanti i camion che
riempiono le corsie: Iveco, Volvo, Tata…
E poi, appena dopo i lavori in corso per la realizzazione di una
rotonda, il mio sguardo si imbatte un grande cartellone verde con la doppia
scritta amarico - inglese e il mio stupore accompagna l’ingresso in… autostrada!!
Il paesaggio è una distesa gialla, in cui sparse un po’ ovunque ci sono le chiome ad
“ombrello” delle acacie africane e poi… mucche, asini, capre e pecore a pascolo
con pastori di ogni età: donne, uomini e bambini. Un bastone sulle spalle a sostenere
il peso delle braccia e qualche gruppetto di capanne nell’infinito della natura.
Spicca il giallo delle taniche caricate sul dorso degli asini e il profilo
delle donne che gli camminano accanto.
E sotto l’azzurro del cielo, alle spalle del giallo e del verde
luminoso delle piantagione di canna da zucchero, si innalza qua e là il marrone
della terra delle alture .
Dopo l’autostrada, sosta in uno dei locali che si affacciano sulla
strada. Beviamo un vero succo. Tre gusti e tre strati di colori, due tonalità
di arancione e il verde, in un grande bicchiere: papaya, mango e avocado. Mentrea
ccanto alla tazzina del caffè, che abbiamo ordinato, posano un contenitore in
cui alcuni pezzi di carbone bruciano incenso. Ecco l’epilogo del tradizionale rito
del caffè, che dopo la preparazione va servito e accompagnato insieme all’aroma
dell’incenso.
Poi la strada corre in mezzo a valli: si estende fin sulla cima delle
colline lo spettacolo dei tanti quadrati di terra sdraiati uno accanto all’altro,
ognuno di una tonalità diversa, dal giallo al marrone. Qualche gruppetto di alti
alberi: una pennellata di verde a completare il quadro.
Non c’è il ritmo delle automobili a dominare la strada, ma quello
degli uomini, degli animali, e dei carretti trainati dai cavalli che
trasportano cose e persone, come servizio taxi. Deve inchiodare spesso il
nostro autista, perché un cavallo bianco dall’aria triste ha deciso di
prendersi una pausa lungo la carreggiata, perché una capra scappa dalla sua
comitiva, o chi accompagna le mucche al pascolo, quando meno te lo aspetti,
decide di attraversare la strada, o semplicemente perché gruppetti di persone camminano
in strada.
Avvicinandosi alle piccole cittadine, dove si alza qualche struttura
di cemento (uffici, negozietti…), si incontrano i bajaj, macchinette bianche e
blu a tre ruote (sono simili all’ Ape, arrivano dall’ India e vengono utilizzate
come taxi)e poi piccoli furgoni, fuoristrada, camion e qualche autobus che
percorre lunghe distanze.
Ci fermiamo per la seconda sosta in un paesino in cui probabilmente i
bianchi si vedono di rado. Mentre ci
avviciniamo ad una specie di veranda,dove l’autista entra a prendere un caffè,
arrivano un gruppetto di bambini, stanno fermi ad osservarci e cercano di
attirare la nostra attenzione; un vecchio, con la barba rossa, ci saluta
porgendoci la mano e ci dice in amarico che suo figlio vive in America...
La signora seduta su uno sgabellino versa il caffè bollente da un
grande termos in tazzine, senza manico, che assomigliano al “servizio della
nonna”. Intanto dentro a un pentolino, appoggiato sul carbone, i chicchi verdi di
caffè si stanno tostando. Insieme alla carbonella non può mancare un po’di
incenso.
La strada poi sale, e salendo cambiano i colori: aumenta il verde,
cespugli e varietà di alberi e la terra ai loro piedi si scopre rossa.
Sono sempre i toni accesi dei veli delle donne a comparire per primi
all’orizzonte, alcuni le avvolgono dalla testa fino alle ginocchia. Altri,
visti da dietro, somigliano a mantelli
che si agitano nel vento, insieme alle gonne lunghe che le coprono fino ai
piedi. Parecchie lasciano scoperto solamente lo sguardo.
Le donne, che si muovono a piedi o sui carretti, hanno un pezzo di
tessuto legato a mo’ di sacca sulla schiena. Lì si caricano tutto quello che
devono trasportare, anche i bambini, completamente avvolti (non spunta nemmeno
la testa!) in una stoffa che, diversamente da altri paesi africani, passa sopra
le spalle della mamma e poi viene annodata sopra il seno.
Anche tanti uomini, a cavallo o
a piedi, hanno il capo coperto da un foulard, probabilmente per proteggersi dal
sole e dal vento, che oggi soffia forte.
Ci sono sempre mucche o pecore a fare compagnia alle case e alle
capanne, recintate da pali di legno o da lunghe, lunghe file di piante
grasse,che somigliano un po’ ai cactus. Il loro verde si accende grazie al
giallo dei grandissimi covoni di paglia seduti accanto alle abitazioni.
Ci alziamo ancora di quota: tutt’intorno alte montagne, sassi e terra
più scura. Aumenta la distanza tra i piccoli villaggi: gruppetti di sei-sette
case fatte di pali di legno e terra battuta o di paglia, qualcuna si fa notare per
la porta turchese, o viola. Al centro, accanto alla moschea, si alza il
minareto colorato.
Qualche abitazione isolata sui pendii, appare minuscola tra tutte
queste cime. Poche le persone ai bordi della strada. Incontriamo: un gruppetto di bambini, in divisa scolastica
(così nel nulla è difficile immaginare in quale posto sia spersa la scuola e in
quale direzione lontana spunterà la loro casa…), altri tre bambini in attesa
che qualcuno acquisti la gallina che uno di loro tiene sotto braccio, qualcuno
a cavallo e poi sorpresa… ci attraversa la strada una famiglia di babbuini.
Abbiamo raggiunto un altipiano: facoceri grandi e i cuccioli, nyala, e ancora
babbuini…
E poi dopo una decina di chilometri dalla cittadina di Robe, giungiamo
a Goba, cittadina di “campagna” della zona del Bale, a 2800 metri di altitudine.
Ecco
così che sono arrivata in quella che per un po’ sarà la mia
casa.
Anna