ancora un contributo dell'amico Patrizio Neri
Ero stato fissato al muro da una squadra di operai, in un nuovo bagno per disabili di un centro di riabilitazione che si stava espandendo. Riflettevo le maniglie, il lavandino, l'asciugatore per le mani e il water lucido. Dal soffitto pendeva un cordino rosso antipanico.
Entravano in molti, spesso con le stampelle o in sedia a rotelle, e io riflettevo la loro immagine mentre chiudevano la porta con gesti impacciati. Si reggevano alle maniglie, tiravano lo sciacquone e usavano il lavandino. Alcuni non dovevano sedersi sul water e si svuotavano dell'urina da un tubo.
Comparve
un nuovo uomo. All'inizio lo accompagnava un'infermiera, che lo aiutava
a pulirsi, ma nel giro di qualche settimana fu abbastanza forte da
farlo da solo.
Adesso era tornato, e si issò dalla sedia a
rotelle sulla tazza del water, con i monconi che gli spuntavano davanti.
Portava una maglietta e un paio di calzoncini e mentre faceva i suoi
bisogni si guardò in mezzo alle gambe. Quando ebbe finito tirò la
catena, tornò sulla sedia a rotelle e si diede una spinta fino alla
porta. Ma stavolta intravide il proprio riflesso su di me e si fermò.
Quello che mostravo era diverso dall'immagine che aveva di sé. Vide gli
arti mostruosamente corti e lo spazio che li separava dal pavimento,
dove un tempo esisteva una parte di lui. Capì che l'immagine riflessa
era quella che vedevano gli altri, e rimase sconvolto. Scosse la testa
incredulo. Era un essere innaturale, creato dalla violenza della guerra e
salvato dai soldati e dai medici; era sopravvissuto a qualcosa a cui
non si poteva sopravvivere, e si vedeva. Provò un senso di disgusto.
Si
tolse i calzoni e poi la maglietta e li gettò a terra. Nudo, si
specchiò dentro di me e poi abbassò gli occhi su di sé e scosse di nuovo
la testa, senza volerlo.
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