un nuovo invito alla lettura dal nostro amico Patrizio Neri
Donna Trisìna Cicero era una trentina mora, con gli
occhi verdi sparluccicanti e due labbra rosse come le fiamme
dell'inferno. Mischineddra, era rimasta vìdova da tre anni. Da allora si
vestiva tutta di nìvuro, a lutto stretto, lo stesso però gli uomini
quando la vedevano passare facevano cattivi pinsèri, tanta grazia di Dio
senza che ci fosse un màscolo a governarla. Ma in paìsi c'era chi
sosteneva che quel campo era stato invece arato e abbondantemente
seminato....
Patre Artemio Carnazza, parroco del paese, era un
omo che stava a mezzo tra la quarantina e la cinquantina, rosciano,
stacciùto, amava mangiari e bìviri. Con animo cristiano era sempre
pronto a prestare dinaro ai bisognevoli e doppo, con animo pagano, si
faceva tornare narrè il doppio e macari il triplo di quello che aveva
sborsato. Soprattutto, patre Carnazza amava la natura. Non quella degli
accidruzzi, delle picorelle, degli àrboli, delle arbe e dei tramonti,
anzi di quel tipo di natura egli altissimamente se ne stracatafotteva.
Quella che a lui lo faceva nèsciri pazzo era la natura della fìmmina
che, nella sua infinita varietà, stava a cantare le lodi alla fantasia
del Criatore: ora nìvura come l'inca, ora rossa come il foco, ora bionda
come la spica del frumento, ma sempre con sfumature di colore
diverse.....Questa storia con donna Trisìna durava da una decina di
jorna; Trisìna doppo la messa s'apprestava nel suo quartino, ma appena
che lui ci metteva una mano sopra quella s'arrivoltava come la vipera
che era. Quant'era beddra, però, la pìpera! Non ci sapeva resistere. Si
fece persuaso che ancora una volta, per ottenere qualiche cosuzza da
lei, doveva pagare.
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