Sono uno dei
principali mezzi di trasporto per la gente che vive in città, insieme ai taxi
collettivi e a grandi e ben tenuti bus bianchi acquistati dal governo.
I congolesi li
chiamano “espirit de mort”, e al contrario dei bus bianchi, girano in tutte le
zona della città, arrivano ovunque, non è necessario fare file infinite per
salirci e qualunque sia la fermata richiesta loro accostano.
Per me sono dei
furgoncini scassati e ri-arrangiati grazie ad un po’ di bricolage africano:
schotch e cartone a tenere insieme il vetro della parabrezza, pezzi di uno
specchietto o di un fanale ricostruito con fantasia, teloni a sostituire finestrini
scomparsi.
Mancano sempre vari
pezzi alla carrozzeria e non solo a quella vista la fatica a ripartire, e il
fatto che ogni giorno se ne veda qualcuno “accasciarsi” e riposare per sempre
lungo la strada. Piazzato accanto ad altri “compagni” che han fatto la stessa
fine e che nessuno sposterà più dal lì. Monumenti.
Prevalgono quelli bi
colore giallo-azzurro, ma ce ne sono pure di blu, di bianchi, qualcuno di verde-rosso…
insomma ce n’è per tutti i gusti.
Accanto al
conducente possono trovare posto tre fortunati passeggeri, mentre sulle panche,
sistemate nella parte posteriore, ben ammassati, si viaggia in parecchi,perché non
c’è un numero limite e quando proprio più di così non ci si riesce a stringere…si
può sempre viaggiare aggrappati all’esterno, prendendo un po’ d’aria.
Si corre con la
portiera posteriore laterale aperta dalla quale si sporge un ragazzotto che urla
la destinazione dell’“espirit de mort”. Da quella portiera la gente sale e
scende, alcune volte in corsa, e consegna i soldi del biglietto al “ragazzo
megafono”. Pure i grandi carichi, che soprattutto le donne trasportano da una parte
all’altra della città, trovano posto entrando dal baule e incastrandosi sotto i
sedili oppure sedendosi sul tetto.
In corsa, in
sorpasso, pronti per immettersi e ripartire oppure fermi nel traffico: le strade
sono sempre piene di questi mezzi e sembra sempre una gara a chi arriva primo.
Là dentro sono sempre troppi. Li guardi
sorridendo da un comodo sedile di un taxi…
Finché non ci sali
la volta che il taxista del giorno si è “dimenticato” di tornare a prenderti,
con buona parte del compenso già intascato all’andata… e vedi così tutto quello
che da un comodo sedile di un taxi express (ciò riservato solamente ad un
cliente) non puoi vedere.
Ti accorgi, ad
esempio, che le marce entrano a fatica, che i freni non funzionano alla
perfezione, che all’interno penzolano cavi scoperti (uno dei quali utilizzato dall’autista
per mettere in carica il suo cellulare )…
E seduta accanto al
conducente, al quale ti hanno “affidato” dicendogli il luogo dove devi
scendere, noti la sua guida sportiva e un po’ nervosa che comprende:l’incitare il
suo collega quando da qualche minuto se ne sta zitto, e tenere spesso il
volante con una mano e la testa fuori dal finestrino per cercare clienti e nel
frattempo, gesticolando, farsi largo nel traffico. E ti sembra Rambo quando, appena prima di attraversare
un tratto di strada che pare il deserto per la quantità di sabbia in cui si è
immersi, si infila velocemente la mascherina.
“ZANDO (pronunciando
la z come una s) … ZANDO… magasin ZANDO” urla a gran voce e insistentemente il
giovane appeso alla portiera. E’ questa la destinazione: il quartiere del
grande mercato.
Ad ogni frenata la
tavoletta di legno, incastrata tra il sedile dell’autista e quella del
passeggero, in cui poggia il tuo corpo si alza e ti spinge in avanti, e tu,
nella tua testa, preghi l’angelo custode intervallandolo col nome del posto
dove ti han detto di scendere, sia mai che Rambo
se ne dimentichi.
Senti lo sguardo
addosso di qualche passante o dell’autista di una macchina incrociata: non è
facile passare inosservati in un furgoncino zeppo di africani e sicuramente è
più che raro vedere una “madame” seduta lì dentro.
I giorni seguenti gli africani a cui racconti di essere salita
su uno di quegli “autobus” prima ridono e poi te ne chiedono conferma stupiti.
Dicono che loro stessi non ci salgono, perché li definiscono mezzi non sicuri:
fanno spesso incidenti e in quelle occasioni di solito quasi tutti i passeggeri
ci lasciano le penne, capita che gli autisti guidino sotto l’effetto di droghe
o alcool… e via dicendo.
Per tutti coloro che
non possono permettersi una macchina, un’autista o un taxi privato e quindi la
maggioranza spostarsi qui significa cambiare e quindi aspettare, nel caldo
torrido o sotto la pioggia, tre o quattro mezzi, significa rimanere quasi
sempre bloccati nel traffico, significa impiegare gran parte della giornata.
E così l’avventura
da raccontare agli amici è rischio e fatica per la maggior parte degli abitanti
di una grande capitale africana.
Ogni giorno.
Anna.
(Anna Zoppas dal Congo)
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