...una voce...tante emozioni...un viaggio...tante voci...un libro...le voci in viaggio...
Siamo un gruppo di persone che Ama la lettura e ha deciso di mettere in valigia storie, racconti, fiabe, poesie e di partire per un lungo Viaggio, in mezzo alla gente.
Ad ogni tappa del nostro cammino trasmettiamo con la nostra Voce emozioni che partono da Viaggi lontani, a volte persi nel tempo.
Leggendo parole scritte da vite più o meno note, ma che hanno lasciato un segno nella storia del mondo, possiamo leggere la vita di tutti i giorni e cominciare a scrivere quella che verrà.
L’emozione più grande è leggere negli occhi e nel cuore di chi ti ascolta la condivisione di ciò che arriva dalla nostra anima.
Ed è l’inizio di un nuovo Viaggio…


Le Voci Consigliano

mercoledì 13 gennaio 2016

Aprire porte...



APRIRE PORTE

Avrò avuto sette o otto anni il giorno in cui mia madre invitò a pranzo un ragazzino marocchino, che aveva suonato al nostro campanello, con il suo borsone sulle spalle, proprio qualche istante prima che lei buttasse la pasta.
Con quell’invito improvvisato e quel gesto di far accomodare al nostro tavolo un ragazzetto sconosciuto e straniero, senza averlo esaminato, mia madre mi aveva portato oltre. Oltre il disprezzo, la diffidenza o l’indifferenza che riempivano i volti e le parole della maggior parte delle persone quando questi pellegrini bussavano alla loro porta.
Il tavolo di casa nostra, quello di tutto i giorni era diventato altro, qualcosa di nuovo. Qualcosa di imprevedibile e di affascinante.
Ripensandoci ora, che di anni ne ho trenta, e da un paio ho cominciato a viaggiare salendo su un aereo e andando “lontano”, credo che quello sia stato il mio primo vero  “viaggio”.
Qualche anno fa i miei passi sprofondavano nel deserto tunisino, sulle orme di Abramo, quando queste parole hanno aperto uno spiraglio dentro di me: “Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguargo verso il settentrione e il mezzogiorno...”. È il Signore a parlare ad Abramo. Sono parole rivolte ad un padre dopo che ha appena lasciato andare il proprio figlio.
È l’esplosione dei confini della promessa, come se il Signore avesse detto ad Abramo: “Più vedi più ti darò, tu spingi lo sguardo…”.
Spingere lo sguardo è cercare, è desiderio di vita.
Hanno rimbalzato a lungo, dentro di me, quelle parole.
Ho cominciato ad alzare gli occhi ed è arrivato il momento di scegliere. Ho deciso di partire.
La partenza è un momento di fine e di inizio.
Partire significa lasciare la propria terra, il luogo che ti ha dato la Vita.
Partire è doloroso. Partire è straordinario. È malinconia, e felicità pura.
Ci vuole coraggio per cancellare ogni dubbio.
E anche se la destinazione è visibile in una mappa, ogni viaggio ha un falla da cui può entrare l’ignoto. Ogni viaggiatore non sai mai esattamente dove approderà.
Abramo è stato il primo ad incamminarsi per una destinazione ignota, a  traversare il mondo da ospite di passaggio, a essersi fatto straniero per ascoltare la voce del suo mandante.
A lui in una notte di stelle una voce l’ha avvisato di una discendenza innumerevole quanto lo scintillio che lo sovrastava.
Io non sapevo e non so quale sia la promessa, mi spinge il desiderio di mostrare e far arrivare i miei passi nella direzione dove il mio sguardo si è spinto.
Vorrei inseguire il mio desiderio di Vita.
E in questo andare ho incontrato l’Altro. Ma soprattutto sono divenuta l’altro.
Mi sono fatta straniera.
Nella terra in cui sono arrivata, mi capita di venire accolta da chi non resta fermo ad aspettare, ma si fa avanti per procurarsi la visita.
Ho ricevuto l’invito di chi ha ben poco ma con naturalezza sa aprire le porte e condividere ciò che ha. Molto spesso non c’è una lingua in comune, ma gesti universali.
Così fece Abramo. Era seduto all’ombra delle querce di Mamre, innanzi alla sua tenda, quando vide spuntare da lontano tre uomini. Si alzò, andò verso di loro e li pregò di fermarsi presso di lui per un ristoro. Preparò un pasto e acqua per i loro piedi affaticati. Non sa che sono messaggeri della divinità.
Sono otto mesi che vivo in una piccola cittadina sull’altopiano etiope. C’è ancora da fare spazio, da varcare porte e mettersi in ascolto sull’uscio delle baracche per comprendere questa terra e starle il più vicino possibile, ma ricevere accoglienze di questo tipo mi fa sentire un po’ a casa, e soprattutto mi dà la certezza di percorrere ciò che il mio sguardo ha cercato.
E ogni volta che mi accomodo, da straniera, in una di quelle case col tetto in lamiera ritrovo la condivisione che spiazza, attrae e apre a mondi nuovi. Quella che sfiorai per la prima volta restando seduta al tavolo della mia cucina, imparando che a volte per viaggiare basta aprire la porta di casa.



                                                                                                                                  Anna

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