...una voce...tante emozioni...un viaggio...tante voci...un libro...le voci in viaggio...
Siamo un gruppo di persone che Ama la lettura e ha deciso di mettere in valigia storie, racconti, fiabe, poesie e di partire per un lungo Viaggio, in mezzo alla gente.
Ad ogni tappa del nostro cammino trasmettiamo con la nostra Voce emozioni che partono da Viaggi lontani, a volte persi nel tempo.
Leggendo parole scritte da vite più o meno note, ma che hanno lasciato un segno nella storia del mondo, possiamo leggere la vita di tutti i giorni e cominciare a scrivere quella che verrà.
L’emozione più grande è leggere negli occhi e nel cuore di chi ti ascolta la condivisione di ciò che arriva dalla nostra anima.
Ed è l’inizio di un nuovo Viaggio…


Le Voci Consigliano

lunedì 17 novembre 2014

Luci spente


Sono da poco passate le sei di sera ed è già buio pesto.Il taxista fa sosta dal benzinaio. Ripartiamo. Qualche chilometro di strada asfaltata e poi imbocchiamo una laterale invisibile di sassi e sabbia, ma popolata di gente a piedi. La città è appena dietro le nostre spalle, ma sembra un mondo lontanissimo.
La nostra è  l’unica macchina e la luce dei fari è la sola ad illuminare questo quartiere.
Si procede lentamente, la strada è stretta e le ruote scivolano sulla sabbia. Nel momento in cui il taxista è costretto a fermarsi, e mettiamo i nostri piedi a terra,smettiamo di essere solamente spettatori edentriamo anche noi in questo pezzo di città.
Stringiamo i telefoni accesi tra le mani per guardare dove poggiano i nostri piedi, mentre ai bordi  della strada qualche banchetto a lume di candela assicura l’apertura serale. Persone lungo la via, accanto ai “negozi”, nei cortili delle case… la gente chiacchera. Mentre camminiamo una vocina esce da qualche angolo:“Mundele!”.(Bianco nella lingua lingala)
Il buio non nasconde la nostra pelle chiara, e anche se non incrocio lo sguardo della gente sento che ci stanno guardando.
Alberto qualche anno fa ha trascorso qui un mese e,si sa, un bianco che arriva fino a qua non si dimentica. Qualcuno sussurra il suo nome…  Io gli cammino accanto e lo ascolto raccontare di questo centro per bambini e ragazzi. Orfani o abbandonati, alcuni vengono dalla strada, altrisono“bambini stregoni”: rifiutati dalla famiglia perchéaccusati di essere posseduti dal demonio. Qui Alberto è venuto parecchie volte, per un mese si è svegliato con i ragazzi e con loro ha trascorso le giornate, aiuta e sostienein tanti modi la coppia che gestisce il centro. E ci torna prima di partire. Domani prenderà un aereo che lo porterà, dopo quattro anni in terra africana, definitivamente in Italia.  E questa serata è il suo saluto al Congo.
Nel punto in cuiun ruscello di acqua sporca comincia a impossessarsi della strada, e il percorso si fa un po’ più  complicato per i nostri piedi stranieri,ci viene incontro la Maman.Niente tra le mani a rischiarare i suoi passi sicuri. Abbraccia Alberto e mi stringe la mano presentandosi. È lei la donna che insieme al marito, parecchi anni fa, ha aperto questa “casa”.Andava lei stessa a raccogliere i ragazzi per la strada. Ora è il governo a inviare i bambini. In questo momento ne accolgono una quarantina.Ogni tanto qualcuno di lororiesce a far ritorno in famiglia, accolto da un parente.
Finalmente dopo qualche saltello da una sponda all’altra  di questo ruscello, un portone si apre. Un cortile di cemento pieno di ragazzi e ragazze che rimangono fermi a guardarci, mentre un gruppetto di bimbi ci corre incontro. Uno di loro mi abbraccia timidamente, e poi si allontana.
Rimangono in silenzio nel buio di questa serata che a me sembra notte fonda.
Nel cortile interno si affacciano stanze di varia grandezza: il refettorio, il dormitorio delle ragazze e quello dei ragazzi, l’ufficio, le aule.
 Un educatore, persone che ogni tanto vengono a dare una mano, giovani della parrocchia, volonatari: c’è un bel movimento intorno e dentro a questa realtà e io provo a immaginarlo nella calma di questo fine giornata.
Visitiamo il piccolo laboratorio di sartoria, aperto, come la scuola di alfabetizzazione,agli esterni. Attività queste che permettono un minimo di autosotentamento. Perché nonostantei progetti, qualche finanziamento e un turn over di ong, non c’è nessuna garanzia costante. Non sempre si riesce a mangiare tre volte al giorno.
E poi… Poi inaspettatamente, dopo esser usciti dall’ultima stanzetta,il buio si accende e nel fascio di luce della pila della Mamancompare una bimba. Qui è sempre difficile dare un’età: quattro-cinque anni, o forse di più, poco importa. Ha alle spalle l’alto muro di cinta. Per metterci alla sua altezza dobbiamo inginocchiarci. È seduta a terra, ha entrambe le gambe ingessatee indossa una camicetta rosa.Si chiama Gloria. Ha i capelli corti e lunghe ciglia.La accarezziamo e le parliamo, lei sposta il suo sguardo verso di noi e risponde con un sorriso che le illumina il volto. Non esce nessun suono dalla sua bocca, non parla Gloria.Ci guarda e sorride. Sta per portarsi un pezzetto di carta alla bocca quando,alla voce della Maman che le dice “No”,  allontana la mano.Vive qui da un anno. Mangia bene, capisce frasi brevi e semplici.
Sonole risposte alle nostre domande. Vorrei farne tante altre, ma rimangono,insieme a Gloria,sedute nella mia testa. So già che non se ne andranno facilmente.
Poi la pila si spegne e Gloria non c’è più.
Ci muoviamo, qualche passo e siamo di nuovo in mezzo al grande gruppo.
Rimango a chiaccherare con una delle ragazze. Mi racconta delle sue giornate:i turni per preparare da mangiare, l’acqua da prendere dalpozzo dei vicini, le pulizie, i più piccoli di cui occuparsi…
Prima di salutarci la Maman ci presenta uno dei ragazzi più grandi, e lo rimprovera affettuosamente. Va e viene dalla strada.
Siamo ormai al cancello quando Alberto si accorge di una ragazza, pronucia il suo nome mentre la abbraccia. È stata accolta quando anche lui viveva qui.Prima di buttarla fuori casa  le hannobruciato le braccia con i cavi elettrici, probabilmente nel tentavivodi allontanare il diavolo dal suo corpo.
Una ventina di minuti e faccio ritorno al mio condominio illuminato.
Chissà quante luci rimangono spente in questa città, senza alcun faro che si posi ad illuminare le vite sedute nel buio.


                                                                                                                                                                                 Anna

1 commento:

  1. Come al solito riesci ad emozionarci con le tue fotografie di parole. Grazie.

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