Il raccontino del lunedì di Patrizio Neri
La scuola bruciava. Eravamo
distesi a terra sulle scale e nei corridoi, non potevamo più uscire. Di
sotto esplodevano bombe a mano. Mark arrivò barcollando su per le scale
con un cartello appeso al collo: Sopra c'era stampato a grandi lettere
nere: "Ferita da granata". Cadde a terra qualche gradino sotto.
"Cazzo, mi hanno beccato" sussurrò.
"Dove di preciso?" sporsi la testa dalla ringhiera.
Indicò il cartello. In basso, tra parentesi, c'era scritto in piccolo: "Addome".
"Una scheggia di granata in pancia è come una pallottola" commentai, "ci lasci la pelle. Sei morto".
"Ma va', vedrai che adesso vengono a prendermi".
"E' inutile, hai un'emorragia interna".
"Ma
sta' zitto, Dani!" Si voltò con la faccia verso il muro. Restò lì fermo
e buono, lo sentivo respirare. "Se avevi una pistola" dissi, "ora
dovevi ucciderti da solo. Lo facevi?" Mark non rispose, di sicuro era
occupato a soffrire. Pensavo al tipo in quel western che si spara in
testa perché sa che tanto non ha scampo. Meno male che io non ero ferito
alla pancia. Sollevai la testa e tossii forte, dopotutto avevo ustioni
gravi e un'intossicazione da fumo, anche se questa non era specificata
sul cartello. Tossii ancora più forte perché mi sentissero e venissero a
prendermi. Katja si era stesa accanto alla porta, sopra una coperta. E
quando avevo fatto per sdraiarmi di fianco a lei quegli scemi degli
infermieri mi avevano cacciato. "Ustioni e lacerazione dei tessuti molli
al primo e al secondo piano" avevano detto. Sul cartello di Katja c'era
scritto "Ferita grave testa (probabile ritenzione proiettile)". Lei era
presidente del Gruppenrat, si era scelto il posto e la ferita migliori.
"Le
ustioni non sono niente di che, ci va solo sopra un po' d'acqua; vedrai
che ti lasciano lì dove stai, di te se ne infischiano!" Mark picchiò
sorridendo un dito sul suo cartello. "A me invece devono operarmi,
bisogna fare in fretta; verranno le ragazze del decimo anno e io gli
appoggerò la testa sulle tette!" In quell'attimo le ragazze arrivarono
davvero giù per le scale, però avevano la barella già occupata, c'era
sopra Katja con il cartello della ferita alla testa appoggiato sul seno.
La testa le ciondolava di qua e di là sulla barella: "Ehi, state un po'
attente, da qualche parte c'è dentro una pallottola!" Si infilò una
mano sotto la testa e mi sorrise. Le due ragazze del decimo anno
arrivarono davanti a Mark, che era di traverso sulle scale. "Ehi, e io? A
me che succede, devo crepare qua o cosa?"
"Dai, fà passare, dopo tocca anche a te".
"Ferita addome! Ho una scheggia in pancia, una scheggia gigante di granata!"
Le due risero e si limitarono a scavalcarlo.
"Lo sai a me che mi faranno? Ho un'intossicazione da fumo io, e pure grave. Respirazione bocca a bocca, capito?"
"Non raccontare balle". Mark si tirò su e guardò verso di me con gli occhi sgranati. "Stai raccontando balle, vero?"
"Ma no, credimi, me l'ha detto uno del sesto anno che l'anno scorso ha avuto lo stesso. Grave intossicazione da fumo!"
"Tu sei fuori di testa, lì non c'è scritta nessuna intossicazione, figurati se è grave!"
"Eh,
ma l'intossicazione da fumo è sempre grave, mica devono stare lì a
scriverlo. E con le ustioni l'intossicazione viene in automatico: oh,
ero dentro in mezzo al fuoco! Loro devono fare tutto come nella realtà".
Tossii e rantolai aggrappato alla ringhiera. "Cioè ti baciano proprio
sul serio, per soffiarti dentro l'aria?"
"Certo! Poca
aria, ovviamente, perché non sei mica ferito davvero, però devono farlo
per l'esercitazione. E ti infilano dentro anche la lingua, se no come
fanno a capire se per caso ce l'hai di traverso, come capita certe
volte?"
"Mi stai prendendo in giro, Dani!"
"Ma
no, ti giuro. Parola di pioniere!" Sollevai la mano. "Ti frugano dentro
la bocca con la lingua, e stai attento, magari finisce che ci provano
pure gusto".
"E i seni, Dani?"
"Be', ce li hai schiacciati addosso, ovviamente, li senti per bene".
"Dai, scambiamo!" Si tolse il cartello e me lo sventolò davanti alla faccia.
"Naa,scordatelo".
"E
dai, Dani, guarda che anche un proiettile in pancia non è mica male, ti
toccano le trippe, te le accarezzano per benino. E lo fanno solo le
femmine eh?, possono farlo solo loro perché hanno le dita più
sensibili!"
"Naa, scordatelo Mark".
"No, ma guarda bene cosa c'è scritto qua: Ferita addome! Capito, addome!"
"Non
mi va, Mark, no, non voglio scambiare. Levati di torno, tu e la tua
scheggia del cazzo" Scivolai lontano da lui, verso il muro. Mark mi
venne dietro.
"Ehi, aspetta un attimo, ho detto addome,
capito? Vuol dire che devono controllare tutta la zona!" Lo spinsi via.
"Non lo voglio il tuo cavolo di cartello, l'hai capito o no? Ho la mia
intossicazione, io. Non mi rompere con il tuo addome del cazzo!". "Ti
prego, Dani, dammelo. Dai, scambiamo. Siamo amici o no?" Allungò una
mano verso di me e il mio cartello, e io la allontanai con una pacca.
Subito mi strinse il maglione con l'altra mano, io mi alzai, feci per
dargli un calcio, lui mi prese la gamba e rotolammo giù per le scale.
Mark si buttò su di me e mi ficcò un ginocchio sulla pancia. "Mark!" non
potevo gridare forte perché mi mancava l'aria. "Mark, aiuto!"
finalmente mollò la presa, probabilmente ero già un po' blu in faccia.
Ripresi fiato. "Ma sei diventato scemo?!"
Due gambe. Due
scarpe di pelle marrone. Due pieghe stirate dritte proprio davanti alla
mia faccia. Mi torsi indietro e guardai in alto.
Il preside.
Il testo è tratto da "Eravamo dei grandissimi" di Clemens Meyer ediz. Keller
Dedicato a chi era stufo di raccontini troppo seri.