...una voce...tante emozioni...un viaggio...tante voci...un libro...le voci in viaggio...
Siamo un gruppo di persone che Ama la lettura e ha deciso di mettere in valigia storie, racconti, fiabe, poesie e di partire per un lungo Viaggio, in mezzo alla gente.
Ad ogni tappa del nostro cammino trasmettiamo con la nostra Voce emozioni che partono da Viaggi lontani, a volte persi nel tempo.
Leggendo parole scritte da vite più o meno note, ma che hanno lasciato un segno nella storia del mondo, possiamo leggere la vita di tutti i giorni e cominciare a scrivere quella che verrà.
L’emozione più grande è leggere negli occhi e nel cuore di chi ti ascolta la condivisione di ciò che arriva dalla nostra anima.
Ed è l’inizio di un nuovo Viaggio…


Le Voci Consigliano

venerdì 3 marzo 2017

Viaggiare con le Parole -- °°°Giorgio Messori###Nella città del pane e dei postini°°°


segue un breve estratto scelto dal nostro nuovo amico e collaboratore Patrizio Neri

Appena scendiamo dal passo Tòr-Ashuu, sopra i 3500 metri, il sole riappare e la strada dopo un po' si raddrizza, va dritta a infilarsi in una prateria immensa dove non c'è neanche una casa, solo prati e cavalli e qualche iurta. E tutt'intorno la lontananza delle montagne.
E' tutto così bello eppure quasi impossibile da fotografare, osserva Vittore. Perché è impossibile ridurre un paesaggio simile a una inquadratura. Quello che incanta è infatti la circolarità dello spazio, come a volte si può ammirare nelle vallate alpine più ampie. Ma se questa è come un'Engadina, è comunque un'Engadina immersa in una vastità "americana". Perché questi sono spazi difficili da immaginare in Europa.
Visto che però Vittore è arrivato fin qua per fare delle fotografie, perché c'è poi l'idea di una mostra in Italia sull'Asia centrale, allora la soluzione è cercare delle immagini con un primo piano che entri in relazione con questa immensità. E il primo piano ce lo offrono tre iurte piantate in un pianoro dove non c'è nient'altro. Da queste iurte spuntano anche delle figure, delle persone: un uomo a cavallo che si allontana per seguire dei cavalli che pascolano più in là, e qualcun altro che invece rimane ad aggirarsi attorno alle tende.
Fermiamo la macchina e ci dirigiamo circospetti verso quel piccolo abitato. Ci avviciniamo solo per dare un'occhiata e fare qualche foto, ma presto veniamo invitati ad accomodarci dentro una iurta, dove subito stendono una tovaglietta su cui cominciano ad apparecchiarci qualcosa. Così ci troviamo ad essere ospiti senza che neppure ci siamo presentati, senza aver detto o chiesto niente. Chi ci ospita sono un uomo, una donna, una bambina grandicella e un bambino ancora in fasce. Una famiglia tipica insomma. E visto che non ci siamo neppure detti i nomi, e in quell'accoglienza così garbata e silenziosa c'è già qualcosa di sacro, allora potrei dire che a ospitarci sono l'Uomo, la Donna, la Bambina Grande e il Bambino Piccolo. E la Bambina Grande ci porta una scodella di burro tenero , freschissimo, mentre la Donna ci spezza il pane e mette a bollire l'acqua. Quando poi è tutto pronto la Donna ci versa il tè nelle tazze, con la morbida grazia e la dolcezza di una madonna Kirghisa.
La meraviglia è per questi gesti così semplici e solenni. Per non rompere quel silenzio benedetto anche le parole sono poche, misurate. Così a un certo punto l'Uomo ci spiega soltanto che il pane lo hanno appena cotto nella torba, e ci invita ad assaggiarlo e bere il tè insieme a lui.
Poi dalla iurta esce quasi subito la Donna che dopo averci servito torna alle occupazioni di prima. E la Bambina Grande ritorna invece sul prato a badare al Bambino Piccolo che non sa ancora camminare. Lo prende in braccio con delicatezza e serietà, perché lei è la mamma-bambina che deve accudire l'ultimo nato (da queste parti sono sempre i bambini più grandi a sorvegliare i più piccoli). Così con noi rimane solo l'Uomo, che si mette a chiacchierare con il nostro autista Dima sulla strada ancora da fare.
Non appena torno fuori dal grembo della iurta, dopo il tè e il pane caldo col burro fresco, allora anche lo spazio di fuori mi sembra più intimo. Più intime le montagne lontane con sbuffi di nuvole che macchiano l'azzurro, e così pure diventano quasi famigliari questi prati verdi che non finiscono mai, il fiume al di là della strada. Nel senso che non sono più soltanto uno spettacolo da vedere, immagini da ricordare. Sono una beatitudine che consola, un minuto di eternità.
"La porta di servizio del paradiso", commenta Vittore.

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